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L'uomo dei dadi di Luke Rhinehart

 FolliaE' la prima parola che mi viene in mente se mi chiedete di parlarvi di questo libro. Perché la storia narrata in queste pagine è una storia folle, di un uomo, Lucius Rhinehart (che guarda caso è anche il nome dell'autore), affermato psichiatra, che decide di affidare tutte le decisioni della sua vita al lancio di un dado. Ad ogni numero associa un'alternativa, tira e lascia che sia il caso a decidere cosa fare. Se gli dice di stuprare, lui stupra. Se gli dice di comportarsi da idiota, lui si comporta da idiota. Se gli dice di lasciare moglie e figli, lui lascia la moglie e i figli. Un gioco che inizia per caso, appunto, e di cui a poco a poco, per il brivido che gli ha dato, non riesce più a fare a meno.

Follia è il mio numero 1

 

Psicanalisi.

E' la seconda parola, perché è una componente altrettanto importante del libro, è il vero motore dell'azione, sia perché il protagonista è appunto uno psicanalista sia perché è proprio contro le sue contraddizioni, i suoi luoghi comuni, i suoi sedicenti esperti, che questo romanzo si scaglia. Una critica sottile eppure, se si è masticato anche solo un po' superficialmente l'argomento (io ho studiato e odiato, lo devo ammettere, Freud al liceo), che si coglie in ogni parola, in ogni situazione.

Psicanalisi è il numero 2.

 

Volgarità.

Di quella volgarità eccessiva, esagerata, che sembra (e forse un pochino a volte lo è) fine a se stessa, ma che in realtà serve ancora una volta a mettere alla berlina e a esagerare buona parte delle teorie della psicanalisi. Sessualità e perversioni sono infatti due punti cardine di molte di queste teorie. E in questo libro il protagonista le sperimenta tutte, in base a cosa il dado gli dice di compiere. Stuprare e farsi stuprare. Fingere di essere una donna, andare a letto con la vicina di casa ma anche con la moglie, abbandonare tutti e conquistare una prostituta da sottomettere al suo potere.

Numero 3.

 

Comicità.

Nelle situazioni più grottesche come in quelle più banali a volte si ride fino alle lacrime. Di improvviso, senza quasi rendersene conto. Si ride quando il protagonista cerca di convertire i suoi amici e i suoi figli al dio dei Dadi. Si ride quando tutto gli sfugge di mano, quando altri decidono di seguire il suo credo e di affidarsi a quel piccolo cubo che rotola, e anche quando i suoi colleghi cercano di psicanalizzarlo e si scontrano con la sua logica insensata eppure motivata. 

Numero 4.

 

Difficile.

Altra parola che viene in mente. Un libro difficile da leggere, sicuramente. Ma anche vita difficile da vivere, con continue scelte da compiere che possono condizionare la vita. Difficile ribellarsi, difficile affidarsi al caso e lasciarsi trascinare. 

Numero 5.

 

Geniale.

E' forse la parola che raccoglie un po' tutte le precedenti. Nonostante una certa ripetitività, nonostante una volgarità a tratti forse un po' esagerata e quasi grottesca, questo romanzo è geniale. E' geniale l'idea di affidarsi a un dado, così come quella di scrivere e analizzare tutte le conseguenze di questa scelta. E' geniale il modo in cui è scritto, con capitoli alla prima persona che si alternano a pagine tratte dal fantomatico "Libro dei dadi", a lettere di adepti e interrogatori, interviste, verbali di cui Lucius è protagonista.
Numero 6.

 

E ora, tiro il dado e lascio che sia lui a decidere quale delle parole elencate sopra descriva al meglio questo libro e quindi vi possa aiutare a decidere se leggerlo o meno. 
E se qualcuno ha qualcosa da ridire sul giudizio che ne verrà fuori, beh, è stato il dado a decidere.

 

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